Giovanni Pennisi Reato – La provincia di Catania ha incarcerato Giovanni Pennisi, 35 anni, del comune di San Giovanni La Punta. Gli fu dato un termine di tre anni, tre mesi e tre giorni. Dopo che la Procura della Repubblica di Catania ha emesso un mandato di cattura nei confronti dell’indagato, è stato preso in custodia dai Carabinieri. Pennisi è stato giudicato colpevole da una giuria di estorsione aggravata in associazione a delinquere. L’incidente è avvenuto nel 2009 a Letojanni, un paese non lontano da Messina.
Città di San Giorgio il Punto.
E’ interessato a soggiornare in un albergo di Letojanni. Poiché finalmente qualcuno ha parlato, le minacce di tipo mafioso sono aumentate. Ieri Giovanni Pennisi, 35 anni, di San Giovanni La Punta, ritenuto legato al clan Laudani, è tornato a denunciare al Penitenziario di «Bicocca» per scontare la pena per tentata estorsione aggravata durante una competizione.
Dopo aver ricevuto la notizia di un mandato di cattura da parte della Procura dell’Ufficio dell’esecuzione del Distretto dell’Etna, i Carabinieri della Stazione di San Giovanni La Punta lo hanno fermato.
Totale giorni di carcere: 302
Il capo della guardia di finanza italiana, Francesco Gazzani, in collaborazione con i pubblici ministeri Antonino Fanara e Andrea Bonomo, ha sventato un giro di traffico di droga che collegava l’Olanda e la Sicilia via Napoli e Catania.
Chi è stato arrestato nell’operazione Vicerè a Catania?
I carabinieri hanno effettuato 103 arresti nell’operazione antimafia nota come “Vicerè”, ma finora sei persone sono sfuggite alla cattura. Associazioni di tipo mafioso, estorsione, possesso di beni fittizi, traffico di stupefacenti, detenzione e porto illeciti di armi e altre attività criminali sono solo alcuni dei loro vari ruoli nell’underground criminale.
Tre di loro hanno dovuto essere posti agli arresti domiciliari a causa delle loro condizioni di salute.
La loro età va dai 39 ai 43 anni e comprendono Giuseppe Borzi’, Antonino Camelia, Rosario Campolo, Giovanni Cantarella, Alberto Gianmarco Angelo Caruso e Piero Castorino. La massiccia operazione dei carabinieri denominata “Il viceré” ha permesso loro di ricostruire da zero la struttura organizzativa del clan Laudani. Ad oggi, ci sono stati 109 procedimenti giudiziari contro presunti praticanti di mussi di ficurinia a Catania e oltre il territorio italiano, principalmente in Germania e nei Paesi Bassi.
Sono in discussione attività spesso associate alla mafia, come il traffico di stupefacenti, il possesso illecito di armi e le estorsioni. Ventisei dei 106 sospetti sono ora detenuti e altri tre sono agli arresti domiciliari per problemi di salute.
La Direzione Distrettuale Antimafia dell’Etna ha curato le indagini, che hanno coinvolto oltre 500 militari. Una volta isolati gli attori di rango più alto e più basso, si poteva dedurre l’intricata struttura estorsiva che aveva preso di mira numerose aziende locali.
Le vittime apparentemente non sono state danneggiate dalle minacce di violenza e sono state invece invitate a pagare un costo annuale di protezione compreso tra € 3.000 e € 15.000. I nominati avrebbero destinato i fondi a iniziative di vendita di hotel e automobili.
Lo scenario immaginato dagli investigatori funge da base per il consenso formulato. I vertici della famiglia, quelli con legami di sangue con il “patriarca” Sebastiano Laudani, classe 1926, coinvolto anche nell’operazione odierna, prendono le decisioni importanti.
In seguito, il nipote Alberto Caruso, che non usa il cognome di famiglia perché figlio illegittimo del boss, ha assunto dal padre Gaetano il controllo del clan. L’azione di oggi comprende anche Caruso. Ci sarebbe stato un certo grado di autonomia per i vari gruppi che operano nella regione per occuparsi da soli di estorsione e traffico di droga.
Tre donne sono state arrestate durante l’operazione e successivamente hanno dimostrato di aver svolto ruoli significativi all’interno dei mussi di ficurinia e di essere responsabili dell’attuazione delle direttive dei padroni. La loro responsabilità avrebbe incluso la gestione del “fondo comune”.
Antonino Scalisi, il padre di C oncetta Scalisi, fu assassinato ad Adrano nel 1982 in un agguato. Maria Scuderi, madre di Sebastiano Laudani e zia di Giuseppe, era anche una futura sposa.
Prima di tradire la sua famiglia e trasformarsi in informatore, quest’ultimo ha guidato l’ala militare del clan negli anni ’90 ed è stato reggente dal 1999 al 2010. La sua collaborazione con gli investigatori è stata preziosa. Al terzo posto c’è Paola Torrisi, la liaison di Calatino, 52 anni.
Potenti nazioni e organizzazioni si trovano nella cintura ionica. Volti noti in giro per Catania. u prufissuri Paolo Di Mauro e suo fratello Giovanni Di Mauro sono due dei più noti cittadini di Piedimonte Etneo.Sebastiano Flori e Leonardo Parisi, due indagati legati alla sparatoria del luglio 2014 tra Mascali e Riposto, sono noti ai carabinieri di Giarre.
Un altro personaggio importante fu Giovanni Muscolino, che governò come capo dei Laudani a Giarre a Riposto insieme al fratello Rosario Tommaso. Giovanni Muscolino partecipò una volta a un’indagine sull’influenza della mafia in politica.È il caso in cui il politico Nino Amendolia è stato accusato di concorso esterno con la mafia ma è stato poi assolto a seguito di un’udienza preliminare.
Si vociferava che quest’ultimo si fosse messo a disposizione del clan prima di essere eletto all’Ars sotto il Partito socialista nel 2001. Muscolino fu sentito vantarsi al telefono di come un suo candidato fosse arrivato primo alle elezioni comunali del 1998 a Riposto.
Nel borgo rurale di Patern furono arrestati i fratelli Rapisarda: Antonino, Salvatore e Vincenzo.Sono ritenuti responsabili dal governo per ogni estorsione nella zona. Uno in cui devono combattere coloro che hanno fatto un torto alla famiglia Assinnata.
Poiché nel caso sono coinvolti la polizia e due avvocati, gli investigatori sono comprensibilmente nervosi. Giuseppe Arcidiacono, originario di Aci Catena,e Salvatore Mineo di Biancavilla, avvocato penalista.Entrambi sono stati accusati di concorrenza esterna e sleale. DJ Red Mash è il prossimo.
Carmelo Pavone, alias “Melo l’Africano”, è ricercato dai carabinieri dopo essere stato avvistato ad Acireale. Il deputato regionale Nicola D’Agostino lo ha citato in un’intervista al quotidiano La Sicilia,parlando delle campagne di intimidazione che erano state condotte contro di lui e contro il sindaco di Acireale, Roberto Barbagallo, l’anno prima.